FA’ FACCI
è il nome che abbiamo scelto per in nostro Fiano. Vuol dire rimbeccare con vivacità e prontezza chi è oggettivamente più forte. È indubbiamente una locuzione icastica che rievoca lo sguardo fiero di chi sorride di fronte al pericolo.
Sintetizza al meglio l’eterna sfida tra il piccolo Davide contro il gigante Golia. Ma quando si ha la tempra giusta ci si può imporre anche contro ogni aspettativa. E il nostro Fiano è un po’ così. Nonostante sia un bianco che in Irpinia compete con un rosso di immensa qualità, intende prendersi la scena regalando un vino di grande struttura ed incredibile longevità.
Cercheremo ora di illustrare brevemente quale vicenda ci ha spinti ad identificare, metaforicamente, il Fiano come un eroe del nostro tempo.
Il destino di un cavaliere
Tutto ruota intorno a Girifalco, feudo medievale ormai scomparso, da cui origina anche il nome della nostra cantina (v. Perchè Ifalco).
Il primo signore di Girifalco fu Guaimario Saraceno. Tanti, forse troppi, elementi della sua vita sono ancora oggi ignoti e probabilmente lo saranno per sempre. Tuttavia una leggenda narra le gesta che portarono questo sconosciuto cavaliere a divenire signore di feudo durante il XII secolo.
Guaimario era probabilmente un Longobardo vissuto nell’Italia meridionale del basso Medioevo. In un contesto in cui popoli di etnie diverse spesso coabitavano forzatamente: Longobardi, Normanni, Svevi e Saraceni battagliavano costantemente per il predominio dei territori e all’epoca dei fatti i Longobardi stavano lanciando un’offensiva volta a cacciar via da quelle terre gli infedeli Saraceni.
Ebbene in una delle tante battaglie che lo videro protagonista, Guaimario riuscì ad avere la meglio sul più famigerato e temibile tra gli avversari.
Del Moro si invidiava – e al contempo temeva – la possanza fisica che era di gran lunga superiore a chiunque altro combattente. Si raccontava che una volta aveva sferrato un pugno così forte da uccidere sul colpo un malcapitato contadino.
Di Guaimario, invece, si narrava essere un cavaliere dal coraggio impareggiabile. Il classico condottiero di cui avremmo potuto leggere nei poemi epici della Chanson de Roland o dell’Orlando Furioso.
Molti erano coloro che a fatica celavano il desiderio di vederli combattere l’uno contro l’altro. E così, nel climax di quella giornata che avrebbe definito il labile confine tra il vinto e il vittorioso, si giunse allo scontro tanto atteso.
Nella lotta corporale il Saraceno era chiaramente in vantaggio. I suoi colpi erano parati a fatica dal Nostro. E fu proprio in seguito ad uno dei tanti fendenti micidiali che Guaimario cadde in terra perdendo la spada. Le sorti del duello parevano ormai segnate. Il possente nemico, alzando al cielo la sua arma affilata, si apprestava a sferrare il colpo finale quando Guaimario estrasse un pugnale e, anticipando l’attacco nemico, tagliò di netto il bassoventre. Lo schizzo di sangue che gli inondò il capo fu il segno della vittoria.
Da quel momento il Cavaliere Guaimario divenne per tutti Guaimario Saraceno. Così sarebbe stato anche per i suoi figli e i figli dei suoi figli. Gli vennero tributate alte onorificenze e riconosciuti i territori di Girifalco, Torella e Montemarano. Ancora oggi un capo insanguinato è il ricordo del suo blasone.
Per noi Guaimario è l’eroe che “fece facci” ed ebbe la meglio di fronte ad un avversario più forte di lui. E la sua corona grondante di sangue è il simbolo della caparbietà mista all’incoscienza che a volte genera un frammento di leggenda.